L’IMPIANTO DI PACEMAKER ENDOCARDICO IN NEONATI E BAMBINI CON LOOP IN ATRIO

Rivalutazione delle prime esperienze inquadrate nel momento storico: tributo ad un primato della medicina italiana, sconosciuto e mai rivendicato

 

FerruccioDe Bellis1, Angelo Solinas1, Antonio Ciccaglioni1, Vincenzo Colloridi2,

Giuseppe Palma1, Benedetto Marino3

 

1: CESC-Centro di Elettrostimolazione Cardiaca dell’Università di Roma La Sapienza

2: Istituto di Cardiologia Pediatrica dell’Università di Roma La Sapienza

3: Istituto di Cardiochirurgia dell’Università di Roma La Sapienza

 

Summary

After some 50 years of experience in the field of cardiac electrostimulation, De Bellis, Palma and Ciccaglioni with the important collaboration from Agostino Piro and Paolo Sonnino Silvani, director of “Tele.Ma.Co Software House” go back to the stages that 37 years ago (1976) led to the endocardiac pacemaker implantation in infants and children using a new technique set up by the Authors that proved to be highly reliable, the so-called “atrial loop”.

Herewith are presented the clinical cases of endocardiac implantations carried out for the first time world-wide with the new simple, reliable and little-invasive technique that assures a good quality of life to the small patients and consequently greatly increases the PM indication in pediatric age.

In particular, it is described the first of the interventions carried out with the new technique in November 1976 on a patient of only 4 years of age.

Difficulties and perplexities that had to be overcome are highlighted keeping in mind the equipment available and the state of the art of ultrasonic diagnostics (Ecocardio).

Following the arrival of the fixed-screw electrode in 1979, the Authors describe the interventions carried out with the improved “atrial loop” technique as to render the endocardiac implantation in infants and children less invasive and more reliable.

 

Sommario

Dopo circa 50 anni di esperienze nel campo dell’elettrostimolazione cardiaca, De Bellis, Palma e Ciccaglioni con la preziosa collaborazione nella gestione dell’archivio informatico  del Dott. Agostino Piro e del Dott. Paolo Sonnino Silvani, titolare della software house” Tele.Ma.Co.”, ripercorrono le tappe che 37 anni fa (1976) hanno permesso l’impianto di Pacemaker endocardico in neonati e bambini utilizzando una nuova tecnica messa a punto dagli AA, rivelatasi molto affidabile, denominata: tecnica del “Loop in atrio” (curva a 360°) .

Vengono  riproposti i casi clinici degli impianti endocardici effettuati, per la prima volta al mondo, con la nuova tecnica, poco invasiva e molto affidabile, che garantisce una buona qualità di vita ai piccoli pazienti e, di conseguenza, ha fatto aumentare notevolmente l’indicazione di PM in età pediatrica.

Viene descritto, in particolare, l’intervento del novembre 1976 su una paziente di soltanto 4 anni, primo degli interventi effettuati con la nuova tecnica. Vengono evidenziate le difficoltà e le perplessità che si sono dovute superare tenendo conto delle apparecchiature disponibili e descrivendo lo stato dell’arte della diagnostica ad ultrasuoni (Ecocardio).

Dopo l’avvento dell’elettrodo-catetere a vite, 1979, gli AA descrivono gli interventi effettuati con la metodica del “Loop in atrio” perfezionata in modo da rendere ancora meno invasivo e più efficiente l’impianto endocardico in neonati e bambini.

 

Lo stato dell’arte dell’elettrostimolazione cardiaca nel 1976

 

Fino al 1976 gli impianti di PM in neonati e bambini si effettuavano esclusivamente con una toracotomia con impianto di elettrodi epimiocardici, indipendentemente dall’età e dal peso corporeo dei piccoli pazienti.

Come noto, la crescita corporea secondo la legge di Godin crea una discrepanza tra dimensioni del torace, volume cardiaco e lunghezza dell’elettrodo stimolante.

Questo fatto creava una tensione notevole e progressiva dell’elettrodo tra il connettivo della tasca del PM ed il punto di ancoraggio sull’epicardio, con elevate percentuali di rottura e perdita di stimolazione cardiaca.

In letteratura erano descritti numerosi metodi, sia per via endocardica che per via epimiocardica per evitare questa complicazione (elettrodo-catetere avvolto su rocchetto o in sacchetto) ma con risultati praticamente nulli.

Inoltre, l’impianto del PM mediante toracotomia su pazienti in cosí giovane età era estremamente invasivo e gravoso.

L’impianto endocardico, d’altronde, pur riducendo notevolmente la gravità dell’intervento, avrebbe presentato analoghi problemi.

Infatti, tra il connettivo della tasca e l’ancoraggio dell’elettrodo-catetere stimolante nella cavità ventricolare dx, si sarebbe venuta a creare una tensione notevole e progressiva con conseguente rischio di rottura e perdita di stimolazione.

Si rammenta che all’epoca il progresso tecnologico sia dei PM che degli elettrodo-cateteri era ancora piuttosto limitato. Ad esempio gli elettrodo-cateteri erano poco flessibili e facilmente dislocabili nei tre giorni seguenti l’impianto.

I PM erano asincroni o demand (a domanda), programmabili in uno o due parametri, di solito frequenza di stimolazione e durata dell’impulso, pesavano 160 g ed avevano uno spessore di 18 mm.

Nel campo della diagnostica ecocardiografica ad ultrasuoni si era ai primi passi.

Un’accurata analisi svolta nel 1981 e pubblicata nel 1982 dall’allora massimo esperto, l’ing. Claudio Chiocchio, si concludeva così:

Allo stato attuale delle nostre conoscenze le macchine ad ultrasuoni per uso diagnostico non presentano alcun rischio al paziente. E’ probabile quindi che in futuro, grazie agli innegabili vantaggi di una simile tecnica e grazie al progressivo avanzare della tecnologia degli ultrasuoni, essi possano sostituire in certi casi altre tecniche di indagine di tipo invasivo o che facciano uso di radiazioni ionizzanti. Ma fino ad allora il metodo deve essere considerato propedeutico e complementare sopratutto per quei metodi di indagine che non presentano gli stessi vantaggi.

In realtà in questo campo gli ultrasuoni forniscono dei dati molto significativi, ma solo l’integrazione con altre metodiche permette di evitare sbagli anche grossolani.

L’esperienza insegna che prima di essere un buon ecocardigrafista é necessario essere un buon cardiologo e disporre di un ottimo stetoscopio.”

 

La nuova tecnica

 

Nel 1976 gli Autori misero a punto una tecnica per utilizzare la stimolazione endocardica anche in pazienti in età pediatrica.

La semplice ma brillante intuizione, che aprirà la strada alla stimolazione endocardica in età pediatrica, fu quella di introdurre direttamente in atrio destro un tratto di elettrodo-catetere in eccesso rispetto al necessario per compensare la naturale crescita corporea ed alloggiando nella tasca del PM l’elettrodo rimanente.

Il tratto di elettrodo in eccesso inserito nell’atrio destro era ovviamente limitato dalla necessità di mantenere stabile la punta stimolante ed evitare il dislocamento con perdita della stimolazione.

Non era quindi possibile introdurre immediatamente circa 30 cm di elettrodo-catetere, lunghezza necessaria a compensare la crescita corporea per almeno 3 o 4 anni in modo da arrivare alla prima sostituzione del PM.

La metodica prevedeva pertanto un secondo intervento a distanza di circa 10 mesi per inserire in atrio dx i circa 36 cm di elettrodo-catetere o comunque la lunghezza di elettrodo-catetere ritenuta idonea al peso e alle dimensioni ed allo sviluppo del bambino.

Questa tecnica fu immediatamente contrastata dai cardiologi in quanto ritenevano che l’ampia curva dell’elettrodo-catetere al momento del primo intervento e principalmente l’ introduzione di circa 36 cm di elettrodo-catetere in atrio dx e cava inferiore durante l’intervento all’ottavo mese avrebbe provocato trombosi od embolie molto pericolose per la vita dei piccoli pazienti.

Inoltre si temeva che le ampie curve dell’elettrodo-catetere spinte contro la parete dell’atrio dx avrebbero creato un tessuto fibrotico capace di bloccare l’elettrodo-catetere stesso contro la parete atriale impedendo lo “srotolamento” dell’elettrodo-catetere necessario per compensare la crescita corporea ed evitare la tensione progressiva fra i due punti di ancoraggio, connettivo della tasca del PM-parete ventricolo dx, e quindi la rottura con perdita della stimolazione.

Prevalse la tesi che proprio la crescita del paziente e la dinamica cardiaca avrebbero impedito la formazione di aderenze e il verificarsi di trombosi ed embolie.

Si decise pertanto di procedere con l’applicazione della nuova tecnica su una piccola paziente che, a seguito degli studi e delle consultazioni in corso, era in attesa di intervento da circa 3 mesi.

A conferma della correttezza di tale decisione si riportano i risultati di uno studio effettuato dal Prof. Vincezo Colloridi e pubblicato su PACE nel 1985 (“Ventricular Thrombosis during Permanent Endocardial Pacing in a Pediatric Patient with Hemorrheological Disorder”) nel quale si evidenziava la pratica inesistenza di trombosi ed embolie in pazienti pediatrici portatori di PM endocardico a meno di gravi disfunzioni emorologiche.

 

Il primo intervento endocardico

 

La prima paziente a cui fu impiantato un PM con elettrodo-catetere endocardico secondo questa tecnica fu Tonia C., una bambina di 4 anni, con diagnosi di BAVT (blocco atrio-ventricolare totale) congenito e stenosi polmonare congenita (di lieve entità che non comportava trattamento chirurgico), soggetta ad episodi lipotimici, il 13 Dicembre 1976.

L’intervento é consistito nella preparazione chirurgica della vena cefalica dx, introduzione dell’elettrodo-catetere nella vena stessa, guidato contro la parete del ventricolo dx e spinto fino a formare una curva dolce e molto ampia in atrio dx.

L’elettrodo-catetere è stato fissato al sottocute con legatura sulla vena.

Il restante tratto di elettrodo-catetere, avvolto su se stesso con “dolci” curvature, è stato alloggiato al di sotto del PM SP (pacemaker singola camera, con due parametri programmabili) in una tasca retromammaria al di sopra del grande pettorale.

In fig. 1 è visibile in grafica la posizione assunta dall’elettrodo-catetere.

 

Figura 1

 

Dimessa la paziente perfettamente guarita in settima giornata, sono stati effettuati controlli regolari del PM ogni 3 mesi verificando sempre, mediante telecuore e scopia, la curva dell’elettrodo-catetere in atrio destro.

L’accrescimento corporeo della paziente tanto in peso (da kg 15 a kg 18,8) che in altezza (da 102 cm a 112 cm) e la configurazione della curva in atrio dell’elettrodo-catetere hanno indirizzato verso il previsto secondo intervento effettuato il 20 ottobre 1977.

In fig. 2 è mostrato in grafica la configurazione assunta dall’elettrodo catetere dopo 8 mesi rispetto alla posizione originale.

 

Figura 2

 

E’ stata usata la seguente metodica: aperta la tasca del PM, liberato l’elettrodo-catetere dalle aderenze e rimossa la legatura sulla vena, grazie all’ormai stabile ancoraggio della punta stimolante alla parete del ventricolo dx, é stato possibile introdurre in vena cava superiore circa 30 cm di elettrodo-catetere in modo da creare un’ampia curva in atrio destro ed una curva ad “U” in vena cava inferiore, come mostrato nella grafica di fig.3.

FIGURA 3 (solo) FINALE

Figura 3

 

Ripristinata la legatura sulla vena, veniva effettuato un controllo scopico dal quale si notó che l’ampia curva in atrio e la curva ad “U” in vena cava inferiore erano sparite e che l’elettrodo-catetere si era avvolto su stesso a 360° fino a formare un “loop” come mostrato nella grafica di fig.4.

Da questo momento, l’intervento di impianto di PM endocardico in neonati e bambini verrà indicato in tutta la letteratura specializzata come “Impianto Endocardico con Loop in Atrio”.

 

 

Figura 4

 

Dimessa la paziente in settima giornata perfettamente guarita, sono stati eseguiti controlli clinici e elettronici del PM ogni 6 mesi .

Nell’Aprile del 1980,al controllo elettronico del PM,si notó che la batteria era nella seconda fase di vita ed i controlli del PM furono effettuati ogni 3 mesi.

Il 5 febbraio 1981 alla paziente è stato sostituito il PM SP per inizio scarica batteria, ed è stato impiantato un PM SM (pacemaker singola camera multiprogrammabile).

Il controllo scopico mostrava che il “Loop” in atrio era stato sostituito da una buona curva atriale; l’assetto dell’elettrodo-catetere non è stato, quindi, modificato,

Il 22 maggio 1986 é stato effettuato un nuovo intervento di sostituzione del PM ed è stato impiantato un PM SR (pacemaker singola camera multiprogrammabile telemetrico con sensore per la variazione della frequenza cardiaca). L’assetto dell’elettrodo-catetere, visto in scopia, è stato giudicato buono e quindi non è stato modificato.

Il 20 maggio 1990, durante nuovo intervento di sostituzione del PM, sono stati introdotti, in vena cava superiore, in totale 39 cm di elettrodo-catetere. E’ stato impiantato un PM SR.

Il 25 marzo 1994 la paziente è stata sottoposta ad un nuovo intervento |PM con trasformazione impianto da monocamerale a bicamerale. E’ stata usata la seguente metodica: puntura della vena succlavia dx con tecnica di Seldinger, posizionamento di due elettrodo-cateteri a vite fissa, uno in atrio dx ed uno in ventricolo dx. Il vecchio elettrodo-catetere ventricolare é stato estratto mediante semplice trazione costante. E’stato impiantato un PM DR (pacemaker bicamerale multiprogrammabile telemetrico con sensore)

Il 23 maggio 2001, presso il Centro di Elettostimolazione Cardiaca della “Sapienza” Universita’ di Roma (CESC), è stato effettuato l’ultimo controllo PM alla paziente; in quella fase si decise che per motivi logistici era opportuno effettuare i futuri controlli presso la città di residenza.

Il 28 novembre 2012 la paziente e stata intervistata telefonicamente da un medico del CESC al quale ha dichiarato un stato di benessere e di continuare regolarmente i controlli nella citta di residenza.

 

La tecnica del “loop in atrio” modificata

 

Nel 1979 si resero disponibili agli operatori i primi elettrodo-cateteri a vite fissa che permettevano di fissare in modo sicuro la superficie stimolante dell’elettrodo-catetere stesso all’endocardio per mezzo della vite puntale. I vantaggi di questo tipo di elettrodo-catetere erano molteplici:

1.      notevole riduzione degli interventi di riposizionamento dell’elettrodo-catetere per micro-spostamenti che causavano aumenti non tollerabili di soglia di stimolazione cardiaca (corrente necessaria per stimolare il cuore);

2.      eliminazione dei dislocamenti dell’elettrodo-catetere cioè perdita del contatto con l’endocardio;

3.      facilita’ di estrazione per “trazione con svitamento” in caso di infezione;

4.      immobilizzazione del paziente per sole 24 h, fattore importantissimo nelle persone anziane e nei bambini.

Di contro esistevano, inizialmente, alcuni svantaggi:

1.      La vite puntale spesso si impigliava nella parete della vena creando notevoli disagi all’operatore;

2.      Alte soglie di stimolazione cardiaca rilevate in sede operatoria.

I problemi furono cosi risolti:

1.      introduzione dell’elettrodo-catetere in vena effettuando un avanzamento con rotazione costante in senso antiorario;

2.      avvitamento dell’elettrodo-catetere all’endocardio con tre giri in senso orario esercitando una “dolce”pressione;

3.      misure intraoperatorie dopo 15 minuti dall’avvenuto avvitamento.

L’utilizzo dell’elettrodo-catetere a vite fissa per effettuare l’intervento con “ Loop in atrio” ha introdotto importanti miglioramenti alla tecnica in quanto permette di inserire direttamente, durante il primo impianto, la lunghezza di elettrodo-catetere ritenuta idonea al peso, alle dimensioni del neonato o bambino e allo sviluppo previsto.

Normalmente si introducono in vena cava superiore circa 25-35cm di elettrodo-catetere.

Con questa nuova metodica risulta possibile assecondare l’aumento corporeo senza la necessità del secondo intervento dopo circa 8 mesi.

L’ancoraggio sicuro della vite consente, inoltre, di eliminare lo stressante impegno del personale medico e paramedico necessario a tenere immobile il bambino nei primi 3-4 giorni per consentire il fissaggio fisiologico della punta dell’elettrodo-catetere all’endocardio.

Questa metodica modificata, utilizzata dagli Autori per la prima volta al mondo nel 1982, é diventata la METODICA ELETTIVA UNIVERSALE PER IMPIANTO ENDOCARDICO IN NEONATI O BAMBINI detta ”Tecnica del Loop in Atrio”.

 

Primo intervento endocardico con elettrodo a vite fissa

 

Con la nuova metodica modificata, utilizzando per la prima volta un elettrodo-catetere a vite fissa, venne operato i1 6 gennaio 1982 il bambino Marco M. di 4 anni e 4 mesi a cui era stato diagnosticato un BAVT congenito.

L’intervento e stato effettuato con la seguente metodica: incisione sottoclaveare dx, reperita vena cefalica dx, flebotomia, inserzione elettrodo-catetere a vite fissa con rotazione lenta e costante in senso antiorario fino ad avvitare la punta dell’elettrodo-catetere all’endocardio del ventricolo dx.

Misure intraoperatorie. Inseriti attraverso la cava superiore circa 32 cm di elettrodo-catetere in modo da formare un ampia curva in atrio dx ed una curva ad “U” in cava inferiore. Legatura dell’elettrodo-catetere sulla vena, tasca sottocutanea dx, sutura a strati. Collegato elettrodo-catetere al PM SM.

La radiografia fatta in sala operatoria dopo l’intervento mostra il “Loop” formato dai 32 cm di elettrodo-catetere inseriti in atrio dx.

 

 

Il 22 luglio 1988, cioe dopo ben 6 anni, al paziente è stato sostituito il PM SM con un altro PM SM; in tale occasione sono stati inseriti attraverso la vena cava superiore in totale 39 cm di elettrodo-catetere in modo da formare un Loop poco più grande.

Il 12 settembre 1991, durante un normale controllo elettronico del PM, l’esame Rx mostrava ancora la presenza del Loop in atrio dx.

Il 6 luglio1993 é stato effettuato un intervento di trasformazione impianto con la seguente metodica:

puntura della vena succlavia dx con metodo di Seldinger, introduzione di elettrodo-catetere atriale a vite fissa, avvitamento in buona posizione, misure intraoperatorie.

Con la scopia si nota la scomparsa del Loop trasformato in ampia curva in atrio. L’elettrodo-catetere ventricolare non e’ stato toccato. Controlli elettronici del PM SM ogni 6 mesi.

Il 3 maggio 2001, durante un controllo ravvicinato, è stata decisa la sostituzione del PM in fase di scarica. In considerazione delle misure effettuate durante i regolari controlli del PM si decise di inserire il paziente in lista operatoria per: Nuovo Impianto PM.

Il giorno 8 giugno 2001 è stato effettuato un Nuovo Impianto PM con la seguente metodica: incisione sottoclaveare sn, reperita la vena cefalica. Doppia flebotomia. Legature separate di cui quella prossimale per l’elettrodo-catetere atriale e quella distale per l’elettrodo-catetere ventricolare. Elettrodo-catetere unipolare a barbe in ventricolo dx e unipolare a barbe preformato a “J” in atrio dx.

Collegato PM DR agli elettrodo-cateteri e collocato in tasca sottocutanea sn. Aperta tasca sottocutanea dx si tenta l’estrazione dei due elettrodo-cateteri preesistenti che non si distaccano e quindi vengono bloccati al sottocute con apposite legature su tubicini di silicone.

Il 2 maggio 2011 sostituzione PM DR.

Il 28 novembre 2012 il paziente segue regolarmente i controlli elettronici del PM presso il Centro di Elettrostimolazione Cardiaca della “Sapienza” Università di Roma (CESC).

 

Il primo intervento endocardico su un neonato con la tecnica del “Loop in atrio”

 

Il 21 marzo 1982 si è ricoverata presso il CESC la neonata Stefania D. G. di soli 2 mesi con diagnosi di: situs inversus visceri, marcata ipertensione polmonare e bradicardia spinta (40-60bpm).

La piccolissima età della paziente ha reso necessaria la preparazione chirurgica della vena succlavia destra. Reperito un ramo di calibro appropriato è stata effettuata una flebotomia attraverso la quale è stato inserito l’elettrodo-catetere a vite fissa; avanzamento lento con costante rotazione dell’elettrodo-catere stesso in senso antiorario fino ad avvitarlo all’endocardio dell’atrio dx.

La complessa malformazione congenita ha reso difficile l’introduzione e il posizionamento dell’elettrodo-catetere a vite fissa tanto da rendere necessario l’uso di un catetere a palloncino per individuare l’atrio scopicamente. Misure intaoperatorie. 

Attraverso la vena cava superiore sono stati inseriti 24 cm di elettrodo-catetere; fissaggio al sottocute con doppia legatura in seta sul ramo della vena succlavia. Impiantato PM(SM).

La radiografia fatta in sala operatoria a fine intervento mostra il “Loop” atriale.

 

 

La piccola paziente è stata sottoposta a controlli regolari del PM.

Il 16 aprile 1986 intervento di sostituzione PM SM con altro PM SM ed inserimento di 36 cm totali di elettrodo-catetere con formazione di un più ampio loop in atrio.

L’ 8 gennaio 1987 durante un regolare controllo PM i familiari della paziente comunicarono la decisione di proseguire i regolari controlli nella città di residenza.

 

Conclusioni

 

L’esperienza si riferisce a 11 casi di cui 5 casi con elettrodo-catetere a punta sferica con o senza lancia puntale e 6 casi con elettrodo-catetere a vite fissa.

L’eta’ dei pazienti operati é variabile fra i 2 mesi ed i 5 anni; 5 casi di BAVT post-chirurgici. 3 casi di BAVT congeniti, gli altri 3 casi sono stati descritti in dettaglio in precedenza.

Come detto prima, la metodica del “loop in atrio” sviluppata dagli AA, é diventata in tutto il mondo la tecnica elettiva per impianti di PM in neonati e bambini, anche in caso di BAVT post-chirurgico.

L’esperienza degli AA si concluse progressivamente a partire dal 1985 in quanto furono creati negli ospedali romani per neonati o bambini reparti specialistici anche in questa disciplina; ovviamente tutti gli impianti di PM sono realizzati avvalendosi della tecnica del “loop in atrio”.

I risultati di questi successi nella terapia dell’elettrostimolazione cardiaca in neonati e bambini sono stati presentati:

§  In campo nazionale,al 2° Congresso Nazionale di Elettrostimolazione Cardiaca tenutosi a Roma il 7-8 dicembre 1978;

§  In campo internazionale, al 7° World Symposium on Cardiac Pacing, Vienna, 1-5 maggio 1983.

 

Pubblicati su:

§  Giornale Italiano di Cardiologia, Atti del II Congresso Nazionale di Elettrostimolazione Cardiaca Vol.VIII, Suppl.3, 1978: “Pacemaker Endocardico Permanente in Soggetti di Età Pediatrica”

§  Cardiologia – Bollettino della Società Italiana di Cardiologia – Volume XXVIII – Fascicolo 4 –Aprile 1983: “Risultati di Sette Anni di Esperienza nell’Elettrostimolazione Cardiaca Endocardica a Lungo Termine nei Neonati e nei Bambini”

§  Proceedings of the VIII World Symposium on Cardiac Pacing and Electrophysiology, Abst – 640, Maggio 1983: “Results of a seven-year experience in the long term electrostimulation in infants and babies”

 

 

COMMENTI

 

Benedetto Marino – Professore Emerito di Cardiochirurgia – “SAPIENZA” Universita’ di Roma

 

       La rivisitazione del lavoro del 1978, sull’impianto di pacemaker con loop in atrio del 1976, tinteggia di romanticismo un’esperienza clinica prima nel mondo che risolveva un problema nei piccoli bambini.

 

       Rileggendolo, viene spontanea la riflessione che riguarda il modo di lavorare di un gruppo, che aveva avuto affidato dal Prof. Pietro Valdoni il compito di sviluppare l’elettrostimolazione cardiaca della quale si vedeva già la notevole diffusione. Nel gruppo, cosa assai rara per i tempi, venne con lungimirante visione inserito un ingegnere bio-medico (De Bellis) geniale e appassionato.

 

E fu proprio la “passione” unita all’intelligenza che permise la soluzione

di numerosi problemi tecnici, la registrazione di brevetti poi applicati dall’industria o, come nel nostro caso clinico,  l’ “invenzione” del loop in atrio. Soluzione che dopo tanto tempo è rimasta valida e continua ad essere utilizzata in clinica.

 

       Dicevamo: passione, intelligenza, costanza e, aggiungiamo, allegria

nel lavoro di gruppo a prescindere da schemi organizzativi, moduli, gerarchie o garanzie di “carriera”.

 

       Questi ingredienti, a nostro parere, sono e restano fondamentali se si vuole fare innovazione e sviluppo. Senza arrivare a dire: “dammi un cervello e una matita e farò la ricerca”.

 

       Non vi è alcun dubbio che anche nei tempi attuali nei quali il supporto tecnologico sofisticato e la proporzionata pianificazione economica, sono irrinunciabili;  INNOVAZIONE e SVILUPPO non possono prescindere da una vera  PASSIONE  VISSUTA  GENEROSAMENTE   .

 

       Questo piccolo ma significativo contributo scientifico vecchio di cinquant’anni lo testimonia.

 

Benedetto Marino

 

Prof. Francesco Fedele – Direttore Cardiologia – “SAPIENZA” Università di Roma -

 

       Negli ultimi 50 anni una  delle branche della cardiologia che ha subito i più rapidi e sconvolgenti  progressi tecnologici è l’elettrostimolazione cardiaca. Siamo passati dai pacemakers  monocamerali, utilizzati per il trattamento dei blocchi AV totali e che duravano pochi mesi , ai  bicamerali per la malattia del NSA e i blocchi AV che oggi vengono sostituiti ogni 6-10aa, fino al trattamento dello scompenso cardiaco con la terapia di resincronizzazione. E’ per tale motivo che, da cardiologo da sempre attento alle innovazioni  tecnologiche nella cardiologia, ho il piacere di  fare un commento su questo lavoro. 

 

       Durante questa evoluzione ,e specialmente nei primi anni, i pochi esperti del settore hanno dovuto “aguzzare l’ingegno “ per poter risolvere problemi importanti con la tecnologia allora disponibile.

 

       In questa ottica viene qui riportata l’esperienza degli autori che per primi affrontarono il problema dell’impianto dei pacemaker nei neonati e bambini per quanto riguardava una delle problematiche allora più rilevanti e cioè la discrepanza, con il tempo, che si veniva a creare tra accrescimento corporeo e lunghezza dell’elettrodocatetere. Questo fatto, notato,già negli impianti epicardici, si manifestò in maniera ancora più marcata nei primi impianti endocardici con progressiva tensione dell’elettrodocatetere fino alla sua possibile rottura.

Per evitare ciò i piccoli pazienti venivano periodicamente operati ,in funzione dello stato di accrescimento corporeo, per spingere una parte del catetere che veniva lasciato nella tasca di alloggiamento del pacemaker.

 

       L’intuizione degli autori fu quella di costituire a livello dell’atrio un loop del catetere ventricolare in modo di evitare questi interventi. Nei primi casi, quando non erano ancora disponibili gli elettrodo cateteri a vite, gli autori confezionavano questo loop dopo 6-8 mesi dall’impianto in quanto si doveva aspettare che la punta venisse fissata al ventricolo dal tessuto fibrotico, quando poi furono immessi in commercio i cateteri a vite esposta questo problema fu superato in quanto la creazione del loop non poteva più portare alla dislocazione dell’elettrodocatetere.

Oggi grazie alle esperienze riportate dagli autori tutti gli interventi,nei piccoli pazienti, vengono realizzati con il loop in atrio e sicuramente in un prossimo futuro, con l’avvento delle nanotecnologie, questa intuizione pionieristica verrà sostituita dalla stimolazione cardiaca senza cateteri.

 

                               In un momento in cui si tende a vedere il cardiologo in balìa della tecnologia, la quale sempre più condiziona pesantemente  importanti scelte clinico-terapeutiche, questo “pionieristico lavoro” di èquipe tra cardiologi, bioingegneri e cardiochirurghi, rappresenta l’esempio di come la tecnologia non debba essere considerata la divinità dei nostri giorni ma ridimensionata in un contesto clinico-gestionale più centrato sul paziente.

                                                        

Francesco Fedele